Confabitare, IMU giustizia è fatta

Confabitare, IMU giustizia è fatta

Il Fisco non può essere nemico della famiglia. E non può calpestare la Costituzione nemmeno per combattere comportamenti elusivi. Su questi presupposti la Consulta, nella sentenza 209 depositata ieri e redatta da Luca Antonini, chiude il controverso caso dell’Imu per i coniugi che vivono in due Comuni diversi, attribuendo a entrambi gli immobili l’esenzione, e offre una lezione che va molto oltre la vicenda specifica. Vicenda che, peraltro, è un esempio perfetto di come norme e giurisprudenza riescano ad avvitarsi in paradossi insostenibili. Tutto nasce dal fatto che la normativa Imu, scritta dal governo Monti nel «Salva Italia» (DI 201/2011, articolo13), ha identificato come «principale», esente dall’Imu, l’abitazione in cui «il possessore e il suo nucleo familiare dimorano abitualmente».

E si è preoccupata di precisare che con due abitazioni nello stesso Comune la famiglia avrebbe avuto diritto a una sola esenzione. La formula ha subito generato il problema delle famiglie che invece vivono in case di proprietà in Comuni diversi, ricongiungendosi per esempio nei fine settimana come capita sempre più spesso nell’Italia dell’Alta velocità e del lavoro che si prende dove si trova. Sul punto si è accesa una battaglia fra il Mef, che nelle sue istruzioni (fin dalla circolare 3/2012 delle Finanze) ha chiesto di esentare entrambi gli immobili perché il limite fissato dalla norma riguardava la doppia casa nello stesso Comune, e la giurisprudenza attivata dai ricorsi comunali, che è arrivata in Cassazione a prevedere l’opposto negando a tutti il beneficio.

La soluzione (si fa per dire) tentata per chiudere il problema arriva con il decreto fiscale dell’anno scorso, il 146/2021, che propone l’idea salomonica di imporre l’Imu solo a una delle due abitazioni. Con quali criteri? Nessuno. Ai coniugi si chiede di «scegliere» (a piacimento) quale immobile esentare. Un pasticcio. A parte l’assenza di parametri a cui ancorare la scelta, che finisce per legittimare il comportamento strumentale di chi, fatti due calcoli, esclude dall’Imu la casa dal valore catastale più alto, sia l’esenzione parziale sia la linea rigida della Cassazione penalizzano infatti le coppie sposate o unite civilmente. Perché quelle che non si sono preoccupate di cementare con un atto ufficiale la propria vita affettiva possono tenere tranquillamente al riparo dall’Imu entrambe le case. La Consulta, chiudendo con la sentenza di ieri una questione che si era autoattribuita a marzo, mette ordine nel ginepraio, e si preoccupa anche di cancellare ex tunc il «nucleo famigliare» dalla norma originaria dell’Imu abrogata nel 2019 per evitare che il caos si mantenga nei ricorsi ancora pendenti.

L’esenzione, quindi, potrebbe riguardare anche le case nello stesso Comune: a patto ovviamente di riuscire a dimostrare il requisito della «dimora abituale». Per arrivare alle sue conclusioni la sentenza sottolinea come la tutela della famiglia sia sviluppata dalla Costituzione con «un’attenzione che raramente si ritrova in altri ordinamenti». E spiega che quindi la penalizzazione fiscale delle coppie sposate viola ben tre articoli della Carta: il 3 sull’eguaglianza dei cittadini davanti alla legge, il 31 che chiede alla Repubblica di «agevolare con misure economiche e altre provvidenze la formazione della famiglia» e il 53 sulla «capacità contributiva» che deve misurare il contributo di ciascuno alla spesa pubblica. Principi così forti non possono essere messi in discussione dall’obiettivo di contrastare l’elusione attuata dai tanti che hanno trasferito la residenza nella casa di vacanza per sottrarla all’Imu pur continuando a vivere in città. Per stanarli, spiega la sentenza, è sufficiente ai Comuni controllare i consumi di elettricità, gas e acqua, com’è peraltro permesso dal decreto sul federalismo fiscale municipale (Dlgs 23/2011, articolo 2, comma 10); senza bisogno di mettersi la Costituzione sotto i piedi.

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