Casa bene rifugio o rifuggo dal bene?
Casa bene rifugio o rifuggo dal bene?
Affermazione questa che potrebbe sembrare una provocazione ma che in effetti non lo è. La realtà di tutti i giorni, infatti, ci sta abituando a considerare l’investimento immobiliare come un’operazione non più redditizia ed il più delle volte sconsigliabile. Sono passati, ormai, i tempi in cui l’investimento immobiliare era ritenuto strumento idoneo a dare sicurezza e stabilità economica al risparmio rappresentando una forma di investimento che, in primis, era destinata ad assicurare una soluzioni abitativa alla famiglia. L’Italia, come noto, è la Nazione dove oltre l’ 80% degli abitanti è proprietario della casa dove abita.
Non solo ma molti, per non dire moltissimi, privilegiando questa forma di risparmio ed assecondando quella che una volta si definiva la “ malattia del mattone “, decidevano, spesso con notevoli sacrifici, di acquistare una seconda casa. Si diceva infatti che era meglio investire in case che tenere i soldi in banca, l’immobile era destinato ad aumentare di valore, o comunque a non perderlo, e non veniva intaccato dal processo inflattivo che, come noto, riduce il potere di acquisto del denaro. Molte volte l’investimento immobiliare, al di la della casa di abitazione, aveva altre finalità quali: garantire un ulteriore entrata per integrare modesti redditi da lavoro o da pensione ovvero assicurare, in prospettiva, ad un figlio una certa soluzione abitativa. Senza contare che con il passare degli anni e con l’inevitabile decadimento fisico la necessità di un supporto assistenziale, per le persone anziane, aumenta per cui poter contare su di un cespite immobiliare e sulla sua redditività può diventare indispensabile per consente loro dignitose condizioni di vita. Ci sono inoltre coloro che, apparentemente, possono definirsi più fortunati. Quelli, cioè, che si trovano, non per merito proprio, ma neanche per proprio demerito, possessori di alcuni immobili ricevuti in eredità: il tutto, sovente, frutto dei sacrifici e dei risparmi dei genitori. Senza contare, infine, che un asset immobiliare è da sempre “ spendibile “ bancariamente. E’ infatti notorio che la proprietà di una o più unità immobiliari costituiva e costituisce, per la Banca, spesso conditio sine qua non per l’erogazione di un mutuo o per la concessione di uno scoperto di conto corrente o di un’apertura di credito. Il cliente, in tal caso, da correntista “ anonimo “ diventava e diventa “ cliente affidato” e come tale affidabile. Quello sopra sommariamente descritto è lo spaccato di un Italia che non c’è più, di un Italia, cioè, che ha costruito, nel tempo, le fondamenta della propria sicurezza economica sul “ mattone “.Tutto ciò sul presupposto che il risparmio, finalizzato all’investimento immobiliare, fosse in grado di giustificare le rinunce ed i sacrifici che ne erano il presupposto.
Oggi, purtroppo, non è più così.
Come noto siamo in una situazione di piena crisi del settore immobiliare, crisi determinata da numerosi fattori che cercheremo di esaminare succintamente soffermandoci, in particolare, sull’ultimo quello fiscale. La prima delle cause va ricercata lontano: nel momento, cioè, del passaggio dalla lira all’euro quando si è operata la semplicistica quanto deleteria, per non dire altro, operazione L. 1.000.000. = € 1.000,00. Ciò ha pressoché raddoppiato il valore finanziario dei beni e quindi anche degli immobili che, conseguentemente, sono di fatto notevolmente lievitati pressoché raddoppiandosi. Ciò ha ingenerato il falso convincimento, nei possessori di immobili, di detenere un patrimonio di particolare e rilevante entità senza rendersi conto del meccanismo sopra evidenziato.
Inoltre si è assistito ad un incremento esponenziale delle transazioni immobiliari causato da una domanda sempre più crescente giustificata dalla facilità di accedere ai mutui ed ai finanziamenti, i quali coprivano non meno del 100% del prezzo di acquisto. Non solo ma la condizione di benessere che caratterizzava gli anni successivi all’entrata in vigore dell’euro, in quanto la crisi fortunatamente, non era ancora arrivata, permetteva, ancorché vi fosse meno liquidità bancaria, la concessione di mutui e finanziamenti senza particolar garanzie fatta eccezione per la capacita reddituale dei richiedenti. Quanto sopra ha concorso a creare, anche in Italia, una “ bolla immobiliare “ analoga a quella americana ancorché di dimensioni più ridotte. E’ noto, infatti, che, a seguito della crisi economica che ha comportato la perdita di molti posti di lavoro un numero elevato di “ mutuatari “ non sono stati e non sono più in grado di far fronte alle rate di mutuo. Le Banche, pertanto, anche a seguito della drastica riduzione del valore degli immobili, posti a garanzia, si ritrovano “ in pancia “ cespiti il cui attuale valore non solo è di molto inferiore a quello peritato al momento della concessione del mutuo ma è, altresì, inferiore al loro residuo credito. Tale situazione ha, inoltre, portato gli Istituti di Credito a “ stringere i cordoni della borsa “ , seppur in presenza di una maggiore liquidità interna, ed a vagliare più attentamente sia la condizione di affidabilità finanziaria dei richiedenti l’erogazione di mutui sia l’effettivo valore dell’immobile da porsi a garanzia. Il tutto con conseguente contrazione delle transazioni.
Ulteriore ma non ultima ragione che, a mio avviso, ha portato alla crisi del settore immobiliare è l’aumento esponenziale della tassazione sulla casa che, inevitabilmente, ha disincentivato l’investimento immobiliare. La pressione fiscale sulla casa è aumentata negli ultimi cinque anni di quasi 3 volte. Ciò ha una spiegazione molto semplice: lo Stato ha individuato nel patrimonio immobiliare, una sorta di “ pozzo senza fondo “da cui attingere con certezza e con costanza. Pozzo “ inesauribile “ destinato in via permanente a soddisfare i sempre maggiori appetiti erariali dello Stato. E’ evidente, peraltro, che venendo meno le possibilità di percepire imposte dalle tradizionali fonti tributarie: reddito da lavoro dipendente, reddito da impresa , reddito da lavoro autonomo, transazioni commerciali e consumi lo Stato ha spostato la tassazione sul patrimonio che, in quanto registrato e come tale “ controllabile “ risulta essere l’unico tassabile in modo certo. Del resto è purtroppo noto che i posti di lavoro diminuiscono e non aumentano, che molte imprese chiudono mentre altre falliscono, che le attività autonome e professionali, in quanto svuotate di contenuto economico, sono destinate a diminuire e che l’incertezza e la scarsissima liquidità riduce le transazioni commerciali ed immobiliari senza contare la rilevante contrazione dei consumi con tutte le conseguenze che ne derivano. Tutte queste fonti potenziali di reddito che hanno rappresentato da sempre la forza trainante delle entrate fiscali, per quanto sopra esposto, è venuta meno. Occorre, inoltre, sottolineare che la scelta fatta dallo Stato di concentrare i flussi tassabili sul patrimonio immobiliare ha comportato lo spostamento della fiscalità da una redditività effettiva ad una redditività che, in quanto fondiaria, spesso e volentieri è solamente virtuale. Essa è, infatti, svincolata dall’ esistenza di un effettiva e concreta redditività del cespite immobiliare, che andrebbe giustamente ancorché equamente tassata, e poggia, invece, su di una mera ed estratta redditività calcolata sulla base di dati catastali e, come tale, svincolata dall’effettiva redditività del bene. Se è vero che gli indici di capacità contributiva sono il reddito, il patrimonio ed il consumo, con particolare riferimento al patrimonio la relativa pressione tributaria deve trovare giustificazione nell’effettiva e reale e non presunta o fittizia capacità del cespite di produrre reddito. La capacità contributiva dovrebbe essere, il più possibile, un dato reale e non un dato virtuale: è evidente che se ho un appartamento e lo affitto percependo un reddito è logico e giusto che su quel reddito io paghi le tasse. Pago le tasse su un bene che ha una sua effettiva produttività economico finanziaria. Se invece quello stesso immobile non è affittato ma non perché lo si voglia tenere a disposizione ma perché non si riesce ad affittarlo o non si trovi chi dia garanzie di solvibilità ovvero perché non si possa affittarlo dovendosi eseguire lavori di adeguamento che al momento non si possono fare, quell’immobile pur non producendo alcun reddito, è ugualmente sottoposto a tassazione. Questo è un sistema che porta lo Stato a disinteressarsi delle specifiche vicende che riguardano i vari cespiti immobiliari oggetto della tassazione. Il contribuente, in questi casi, si sente quasi colpevolizzato, per non dire punito, per essere proprietario di un immobile.
Quello che è stato il frutto di sacrifici diventa, paradossalmente, se non messo a reddito, un “peso” molte volte difficile da gestire e da mantenere. E’ chiaro che svincolando la tassazione dall’effettiva e reale redditività del bene e facendo si che la stessa trovi unica ed apparente legittimazione nella sua consistenza patrimoniale si attua una progressiva e costante erosione del capitale che viene, così, gradualmente ridotto nella sua consistenza.
Pur essendo opportuno approfondire, in altra occasione ed in modo organico, la normativa fiscale che grava sulla proprietà immobiliare e che non concerne soltanto l’imposizione, è inevitabile ricordare che nel passaggio dall’ICI all’IMU il prelievo che prima era pari 9 mld di Euro è passato a poco meno a 24 mld Euro, con un aumento che ha sfiorato il 300%. Senza contare che, in tale occasione, venne abolita l’esenzione per la I° casa adibita ad abitazione principale del contribuente. Successivamente e nonostante l’abolizione dell’IMU sulla I° casa, il gettito fiscale è rimasto pressoché inalterato, attestandosi a poco meno di mld 24 Euro, in quanto i Comuni ebbero ad aumentare le aliquote così vanificando l’introduzione dell’esenzione.
Capitolo a parte meritano la TASI, Tassa sui Servizi Indivisibili, la nuova imposta Comunale instituita dalla legge di stabilità 2014 che grava al 70% sul proprietario immobiliare e la TARES, tributo comunale sui rifiuti e sui servizi che, nonostante la dizione Tassa sono delle vere e proprie Imposte che, oltretutto, analogamente all’IMU, non colpiscono il reddito bensì gravano sulla proprietà immobiliare e costituiscono delle vere e proprie patrimoniali.
In conclusione non c’è da stare molto allegri e nonostante la ventilata abolizione dei gravami sulla prima casa, vedremo poi se alle promesse seguiranno i fatti, la situazione complessiva non è certamente destinata a migliorare ed a incoraggiare l’investimento immobiliare che, oltretutto, risollevando il settore metterebbe in moto un numero rilevante di indotti economico finanziari ad esso collegati.
Avv. Pietro Fanesi
Consulente legale Confabitare