Comunione e divisione
Quando più persone sono proprietarie di un immobile, si parla di comunione. Ciò può accadere se taluno acquista una quota di proprietà del bene per atto tra vivi (ad es. una compravendita tra privati o alle aste giudiziarie), oppure mortis causa, e quindi in forza di successione.
In tutti questi casi, il soggetto diventa proprietario del bene, ma insieme ad altri soggetti; il diritto di proprietà viene così frazionato in quote virtuali, che rappresentano la “partecipazione” che ognuno detiene sul bene comune.
Nella comunione è permesso a tutti i partecipanti l’uso della cosa comune, purché non se ne alteri la destinazione e tutti possano farne parimenti uso (art. 1102 c.c.). Le decisioni per l’amministrazione della cosa vengono prese a maggioranza (di quote, non di teste) e sono obbligatorie anche per la minoranza dissenziente (art. 1105 c.c.). Per le innovazioni e gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, il quorum di maggioranza da raggiungere è di due terzi, mentre per determinati atti, come la costituzione di diritti reali sull’immobile, è richiesta l’unanimità (art.1108 c.c.). Il partecipante alla comunione deve contribuire alle spese per la gestione dell’immobile. Il nuovo acquirente della quota, inoltre, è obbligato in solido con il dante causa al pagamento dei contributi dovuti e non versati (art. 1104 c.c.).
La comunione cessa con la divisione: se possibile, si procede in natura con il frazionamento del bene; diversamente, il bene viene messo in vendita e le parti si ripartiranno il prezzo incassato.
La divisione può essere convenzionale, se le parti si accordano sulle condizioni: trattandosi di disposizione su un bene immobile, occorre la forma dell’atto pubblico e la trascrizione dello stesso. Se le parti non riescono ad accordarsi, invece, la divisione può essere domandata al giudice, che disporrà la stima del bene e la successiva vendita. Ogni comproprietario, infatti, ha il diritto di chiedere la divisione.
Avv. Luigi Maccarrone
Consulente di Confabitare